Muoversi 4 2021
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STESSO SAPORE MA NON PRODUCE EMISSIONI: IL FUTURO È DELLA CARNE VEGETALE?

STESSO SAPORE MA NON PRODUCE EMISSIONI: IL FUTURO È DELLA CARNE VEGETALE?

Questa volta per falsi miti affrontiamo un tema che lega le popolazioni di tutto il mondo: l’uso alimentare della carne, che dà energia alle persone ma contribuisce in modo sostanzioso alle emissioni in atmosfera e al riscaldamento globale. Con una soluzione che sfida ogni mito: la carne vegetale.

I panini vegetariani come alternativa al classico hamburger sono ormai diffusi da anni, nei supermercati come in ristoranti e catene di fast-food. Polpette di ceci, lenticchie o di soia, con inserimento di verdure varie e condimenti, hanno guadagnato la loro quota di mercato, crescente quanto lo è la percentuale di persone che negli ultimi anni ha scelto di seguire regimi vegetariani o vegani, per ragioni personali e sociali, tra cui anche l’enorme differenza in termini di emissioni climalteranti dell’allevamento intensivo rispetto alle coltivazioni di legumi.

La vera sfida degli ultimissimi tempi è però rivolta a quella quota ancora maggioritaria di cittadini/consumatori che ama e non vuole rinunciare al gusto e alla succosità della carne.

È nata così – e viene prodotta e commercializzata ormai da diverse aziende, innovative come tradizionali – quella che viene definita carne vegetale: stesso sapore e stessa consistenza della carne cui siamo abituati, ma realizzata con basi totalmente derivate dalle piante.

Prodotti piuttosto recenti, ma che già hanno conquistato buone fasce di mercato (nel 2018 il 52% del campione di un sondaggio statunitense evidenziava la volontà di mangiare meno carne) e fatto crescere fatturato e valore di diverse aziende (una di esse ha visto aumentare il valore delle azioni del 163% in poche ore dalla quotazione in borsa).

Le ragioni di questo successo sono da rintracciare nelle preoccupazioni per la salute personale, nel riconoscimento dell’importanza del benessere degli animali e – come anticipato – nella volontà di limitare l’impatto notevole che l’allevamento intensivo ha sia sulla deforestazione che sulle emissioni.

Nel 2019 la rivista Lancet ha pubblicato uno studio che indicava chiaramente come con la crescita della popolazione mondiale – che si avvicinerà ai 10 miliardi nel 2050 – la prevalenza di diete a forte presenza di carne avrà conseguenze disastrose per il pianeta, e la situazione in questi due anni non è certo migliorata, anzi. Così le indicazioni delle Istituzioni sanitarie e più in generale governative in diversi paesi hanno iniziato a suggerire una riduzione del consumo di carne (negli Stati Uniti sarebbe necessario farlo per oltre l’80% rispetto alle attuali abitudini).

Resta aperta una questione terminologia e di etichettatura (come definire questo tipo di prodotti e se è possibile o meno chiamarli commercialmente carne, o nello specifico hamburger, pancetta ecc.), elemento di contrapposizione di marketing tra player delle diverse filiere.

Quello che va sottolineato è la grande potenzialità di questi nuovi cibi, che sfatano il falso mito che il sapore di carne si può gustare solo mangiando derivati animali, danno forza ai processi di ricerca e innovazione, contribuiscono a far maturare un sguardo sul tema delle emissioni e del contrasto al cambiamento climatico più organico, completo ed efficace.